23.3.12

Il sogno di Leo.



Leo vide il volto di Irene davanti a sé. Pallido e triste, risaltava nel buio come fosse di marmo e riempiva il vuoto circostante di una presenza inquieta. Il broncio apparente in quel momento era reale, sembrava delusa, sembrava disperata. Era arrabbiata. Gli occhi erano cerchiati come se avesse vegliato per secoli, i bei capelli castani erano bruciati come se quei secoli li avesse trascorsi nel deserto.
- Leo non devi farlo, non ne vale la pena.
- Cosa?

Protese le braccia in avanti per consolare quella tristezza che lo faceva sentire colpevole ma la distanza fra loro si dilatava proporzionalmente al suo sforzo.
- Eeeeeeeeh ragazzo mio... Tutto è relativo!
Si ritrovò accanto un ometto dai capelli bianchi e spettinati che ammiccava al volto della ragazza. Albert Einstein. Niente meno.
- Dipende dallo spazio curvo: la massa deforma lo spaziotempo così quello che ti sembra vicino è lontanissimo eppure vicinissimo.
- Non capisco.
- Per forza! Io che sono un genio ho impiegato anni per arrivarci! Che cazzo vuoi capire tu in due secondi?
- Ha ragione, mi scusi.
Non credeva che Einstein potesse essere così sgarbato. E sboccato.
- Guarda lassù, ragazzo.
Leo alzò lo sguardo verso la notte e vide le galassie e le pulsar come appendici di un unico organismo universale. Pensò di comprendere l'antica espressione “la musica delle sfere celesti” anche se non era sicuro che si adattasse alla situazione. Una cometa fiammeggiante sfrecciava nel vuoto cosmico come una Ferrari guidata da un idiota sull'A1.
- Per quanto sia veloce, i fotoni della sua luce ci raggiungono a una velocità forse anche cento volte superiore. La luce è insuperabile!
Leo guardò Einstein senza ben sapere come controbattere a quella affermazione. Si limitò ad annuire e cercò con lo sguardo il viso di Irene che era scomparso. E ci fu un lampo come il flash di una macchina fotografica ma al rallentatore.
- Che botto!
Leo tornò a guardare il cielo e vide che la cometa aveva letteralmente spazzato via una stella o forse un pianeta o chissà cos'altro e l'aveva inviato a farsi un giro per l'universo sotto forma di una miriade di frammenti fluorescenti che scorrevano come gocce sul velluto.
- Hai visto?
Einstein sembrava eccitato come un bambino.
- Sono eccitato come un elettrone! Eventi del genere non si vedono tutti i giorni... Per fortuna, perché altrimenti sarebbe un bel casino.
Leo annuì nuovamente. Si sentiva particolarmente scemo per non riuscire a proferire parola ma gli sembrava tutto troppo strano.
- Certo che non sei un gran conversatore.
Lo vide estrarre un orologio molle dal panciotto.
- Be' io vado, voglio rivoluzionare ancora un paio di leggi della fisica prima di morire, alla faccia di Schroedinger e del suo gatto! Gli direi io dove se lo può infilare per sapere se è vivo o morto!
Il vecchietto fissò nel vuoto con ostilità e agitò il dito indice in una minaccia indirizzata a un interlocutore invisibile, probabilmente Schroedinger stesso. Leo non avrebbe mai immaginato che il Fisico, quello con la F maiuscola, potesse essere così fuori di testa. Aveva la maiuscola anche in quello.
- Bah... Fisici quantistici!
Ci fu un silenzio imbarazzato punteggiato dal canto di comunissimi grilli terrestri.
- Be' ora vado veramente... Stammi bene, ti chiamo io. E ricorda... Dio non gioca a dadi!
E si ritrovò solo, unico uomo ad avere la fortuna di contemplare quello spettacolo cosmico meraviglioso e agghiacciante al tempo stesso. Sublime. E gli sembrò di sentire il rumore di quelle scie di fuoco che costellavano il cielo, un fruscio come un bisbiglio. Si concentrò su quel suono e gli sembrò di sentire una parola ripetuta. Qash'tar. I dubbi di aver capito bene si dileguarono man mano che il suono aumentò di intensità, fino a sembrare quasi un urlo di battaglia che risuonava nel vuoto siderale. “Qash'tar! Qash'tar! Qash'tar!”. E come se un cameraman avesse operato una zoomata a uscire ora vedeva chiaramente gli infiniti universi di cui blaterano i mistici new age. Compenetrati, in moto fra loro, uniti eppure distinti. E in tutti quegli universi risuonava il grido, ed era diventato come un richiamo. “Qash'tar! Qash'tar! Qash'tar!”.

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