22.3.12

Un altro incipit...



- Sei pronto?
- No, no, aspetta! Due secondi.
Guardò febbrilmente quella stanza che aveva già visto molte volte che però in quel momento, vista la situazione, si rendeva conto di non averla mai guardata davvero. Cercò di imprimersi nella mente almeno la posizione degli spigoli più pericolosi, la disposizione del piccolo tavolo apparecchiato e delle sedie rispetto al letto. Pensò che comunque sarebbe filtrata un po' di luce dall'esterno ma in quel momento notò che Irene si era preoccupata di coprire la finestra con del cartoncino nero.
- Ma hai coperto le finestre! Sei una pazza!
- Ovvio! Tre... Due... Uno... Via!
E spense la luce. Buio. Totale.

- Ma non ci si vede un cazzo! Che idee che ti vengono.
Lei ridacchiò e gli afferrò la mano.
- Vieni. Dobbiamo cercare di sederci.
- Ma faremo cadere tutto!
- Per quello ho apparecchiato con roba di plastica.
Di nuovo Irene ridacchiò. Leo si sentiva piacevolmente a disagio. Si lasciò guidare muovendo i piedi come se il pavimento fosse di cristallo.
- Non vale! Tu conosci la stanza!
- Questo è il bello. Sei in mia balia.
Il pensiero di essere in sua balia tutto sommato non gli dispiacque, sentì un brivido di eccitazione lungo la schiena.
- Poi guarda che non ci vedo nemmeno io... Non ho gli occhiali a infrarossi. Qua c'è il tavolo. Cerca la sedia.
Leo eseguì l'ordine. Allungò la mano con circospezione urtò contro qualcosa. Il piatto.
- Come faremo a mangiare? E a versarci da bere? Sei proprio suonata.
Altro risolino. Compiaciuto.
- È da quando sono stata all'associazione dei ciechi che ho quest'idea.
Leo cercò nella propria mente di ricollegare a un tempo preciso il resoconto entusiastico di quell'esperienza con cui Irene l'aveva perseguitato per giorni e giorni.
- Ma ci sei andata l'anno scorso!
- A settembre. Ho avuto tempo per preparare tutto nei minimi dettagli. Ti sei seduto?
- No!
Usava un tono volutamente esasperato per mascherare l'inquietudine reale. Trovò la forma tondeggiante dello schienale. Gli sembrava tutto estremamente complicato, doveva calibrare ogni minimo gesto, non poteva dare nulla per scontato.
- Rischiamo di tirare fino a domani.
- Tanto ho cacciato le mie coinquiline.
La voce gli arrivava dal buio di fronte a lui. La sentiva vicina ed era frustrante non sapeva con certezza di quanto.
- Vuoi fare tu i piatti? Ho cucinato l'insalata di farro... Così non si raffredda.
- Il problema non è che si raffreddi... Ma che non vada a male prima di riuscire a mangiarla.
La risata di lei, distesa, aperta.
- Almeno potevamo fare i piatti con la luce accesa... E versarci da bere... Così al buio potevamo concentrarci solo sui sapori... Così è già tanto se troveremo la bocca!
- Allungami il piatto!
- Certo, come no. Allungami il piatto dove? Magari lo sto passando alla libreria!
Di nuovo il canto da uccellino.
- Ti diverti eh? Era questo il tuo scopo! Deridermi!
- Ovvio! Ecco, prendi la mia mano.
Gli venne l'idea di morderla per scherzo. Prima di rendersi conto di quanto fosse idiota si era già proteso in avanti e aveva urtato qualcosa che pensò essere una bottiglia. Allungò le mani per cercare di prenderla e urtò qualcos'altro.
- Quante cazzo di bottiglie ci sono su questa tavola?
- Le hai rovesciate?
- No, non sembra. Non sento bagnato.
- Io sì.
- Ma guarda che modo di festegg...
Era stata inequivocabile nel tono. E per la prima volta da quando Irene aveva spento la luce rimasero in silenzio. Niente più risate o rumori di movimenti impacciati. Solo i loro respiri sommessi che si erano fatti impercettibilmente più tesi. Come sotto l'effetto di un incantesimo Leo non si chiese se trovasse incongruente quell'annuncio. Soggiogato, sondò il terreno.
- Devo andare a prendere dello Scottex?
- No...
- Sai che mi è passata la fame?
Si alzò con cautela. Si lasciò guidare dal bordo del tavolo su cui teneva appoggiate le dita, contò gli spigoli. Dopo il secondo la sua mano incontrò il braccio di lei che sussultò appena. Risalì fino a trovare la spalla e quel bel collo impreziosito da un tatuaggio. Si divertì a cercarlo pur non vedendolo. Immaginò di seguirlo con l'indice quasi come se la pelle fosse in rilievo. Le fu dietro e lei gli appoggiò la testa mollemente contro la pancia. Sospirò e protestò debolmente.
- Ci ho messo tutto il pomeriggio per preparare...
- Tanto non si raffredda. Possiamo mangiare dopo.
Le passò le mano fra i capelli, sulla fronte, sulla pelle tesa dalle guance poi le sue dita trovarono le labbra. Ne sentì la consistenza sotto i polpastrelli, non erano carnose ma sembravano sempre pronunciate in una specie di broncio che lui trovava adorabile. E si dispiacque di non poterla contemplare in quel momento. Sentì che si schiudeva.
- Che schifo sanno di fumo.
Irene si alzò di scatto per abbracciarlo e urtò il tavolo facendolo sussultare.
- Forse sei riuscita a rovesciare quello che non ho rovesciato io prima.
- Ops.
Si baciarono. L'ultimo tentativo di lei aveva già nel modo in cui sussurrava le parole l'annuncio di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
- Non facciamo nemmeno un brindisi?
- Probabilmente dovremmo leccare il pavimento...
Si spostarono verso il letto.

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